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Voglio fare una piccola premessa, solitamente non inizio gli articoli con una introduzione dedita ai racconti personali, ma per questa particolare occasione voglio fare un eccezione. Dopo aver ascoltato le esperienze d’imbarco sulla USS CVN-75 Nimitz (novembre 2009) degli amici Alberto e Giovanni, è scattata in me una voglia irrefrenabile di provare un esperienza così particolare. Devo ammettere che, come per altre volte l’organizzazione non è stata delle più semplici, problematiche comunque ampiamente previste, dato il contesto organizzativo di una mission del genere, di una portaerei impegnata in un contesto operativo reale, e con una base di appoggio in un paese non propriamente dietro l’angolo (Bahrein). Un primo problema è stato quello di trovare un “compagno” di viaggio che supportasse le mie necessità una volta a bordo della “Carrier”, e soprattutto pronto ad affrontare l’esigenza di fare riprese fotografiche “ridondanti” nel caso si verificasse qualche inghippo con la tecnologia digitale, come dice una nota pubblicità televisiva “two is better then one”, compagno trovato nella persona del caro amico Dario che ha accettato con entusiasmo. Ora non mi dilungo più di tanto nel raccontare tutto l’iter organizzativo perché non avrebbe senso. Tengo però a dire che nei lunghi mesi di attesa abbiamo avuto un ottima collaborazione da parte dei due PAO (Public Affaire Officer) della 5^ Flotta con sede a Manama (Bahrein), ente della Marina americana deputato alla gestione organizzativa per gli imbarchi di giornalisti sulle navi operanti nel Mar Arabico. Il LT John Fage in prima battuta, e il LT Frederick Martin per la parte conclusiva, Frederick è stato anche il nostro interlocutore una volta giunti sul posto, il motivo per cui abbiamo avuto due differenti contatti sta nel fatto che la procedura si è protratta per più di otto mesi, in questo periodo quindi si è verificato un normale avvicendamento del personale dislocato presso l’Headquarter di Manama. Dopo qualche rinvio finalmente arriva la conferma definitiva delle date d’imbarco, anche se va specificato che per motivi operativi può essere sospeso anche poche ore prima della partenza, a questo punto si procede con la ricerca del volo e dell’albergo in Bahrein. Il volo verso Manama decidiamo di farlo con la Turkish Airlines, quindi transitando da Istanbul, principalmente per suddividerlo equamente nelle ore di volo, due ore e 30 minuti da Malpensa a Istanbul, tre ore e 30 invece da Istanbul a Manama. La scelta devo dire che è stata decisamente azzeccata anche per l’ottimo servizio della Compagnia. I giorni precedenti la partenza sono stati di forte preoccupazione per gli eventi che stavano accadendo nel paese mediorientale, ma non avendo segnalazioni particolari abbiamo deciso di andare comunque, scelta direi più che fortunata, perché al momento del nostro arrivo non c’erano segnali di rilievo, anzi abbiamo potuto concederci qualche ora da turisti nel cuore della capitale. Situazione completamente stravolta invece al nostro rientro in Bahrein dopo l’imbarco; appena 30 ore prima avevamo lasciato una città tranquilla, al ritorno abbiamo trovato una situazione veramente “calda” con posti di blocco ad ogni incrocio ed una tensione alle stelle. Come abbiamo poi verificato dai telegiornali, nei giorni a seguire la tensione è sfociata in violenti scontri che hanno portato all’istituzione del coprifuoco. Nei pochi chilometri che abbiamo percorso dalla zona militare al Terminal civile abbiamo assistito a scene che sino ad allora avevamo visto solo in televisione. Dopo questa prima parte dedicata ad illustrare l’organizzazione del viaggio e dei fatti di cronaca ci sembra doveroso dare qualche cenno sulla parte del viaggio che più ci “attraeva”, l’appontaggio, l’imbarco e il lancio con la catapulta. Il volo di andata sul C 2A Greyhound del VRC-40, pieno a “tappo” sia di personale che di merci, è durato poco meno di tre ore, e dobbiamo dire che non è stato il massimo della vita, più che altro per l’allestimento certamente non di prima classe, ma neanche di economy. Purtroppo non è stato possibile documentare con immagini questa fase per l’impossibilità di tenere con sé le apparecchiature fotografiche, per concreti motivi di incolumità personale. L’adrenalina sale invece a mille quando i due Crew Chief indicano a gran voce che è giunto il fatidico momento, devo ammettere candidamente che dell’appontaggio ricordo poco niente perché la virata eseguita dal COD (Carrier Onboard Delivery) per portarsi sottovento mi ha letteralmente quasi mandato in tilt, rivista il giorno dopo dal ponte della Portaerei ho capito il perché………… Comunque va spiegato che durante l’appontaggio l’effetto della frenata viene in qualche modo attutito dal fatto che la schiena è saldamente appoggiata allo schienale del seggiolino, ricordiamo che sul COD si è seduti al contrario rispetto al senso di marcia, l’appontaggio del C 2 avviene ad una velocità di 170 chilometri orari, la corsa di frenata si esaurisce in meno di 100 metri e in un lasso di tempo di due secondi, quindi lascio alla libera interpretazione quello che si prova! Una volta scesi dal Greyhound in quei pochi metri che si percorrono per raggiungere l’isola della nave ci si trova nel bel mezzo delle operazioni di volo ed il benvenuto a bordo è garantito da un’immediata immersione nei rumori e negli odori tipici del ponte di volo condito con una buona dose di jet blast, lo sguardo con Dario si incrocia per un attimo e dice tutto, entrambi non abbiamo ancora materializzato che siamo finalmente a bordo. Dopo le presentazioni di rito con i nostri interlocutori principali, il LCDR Reynolds PAO della Carrier e la sua aiutante LT Christine Gargan, veniamo subito proiettati nel pieno dell’attività mediatica, perché come capirò una volta terminato l’imbarco, sulla Portaerei l’attività è talmente frenetica che ti trascina senza accorgerti, e le 24 ore passate a bordo letteralmente “volano via”. Per nostra fortuna le preziose informazioni “girate” dall’amico Giovanni, sui punti migliori per effettuare le riprese fotografiche si sono rilevate fondamentali, consentendoci di avere una overview generale della nave e soprattutto di cogliere al meglio le attività operative dei velivoli. Durante l’imbarco molte sono state le cose che ci hanno colpito in modo più o meno impressionante: per la parte sottocoperta sicuramente gli interminabili corridoi con le paratie stagne che si diramano per tutta la lunghezza e larghezza della nave, alternati da continui saliscendi nei vari livelli dello scafo, con un interminabile via e vai di personale ad ogni ora della notte e del giorno, in poche parole un immenso “formicaio”, dove senza un’adeguata istruzione è pressoché impossibile muoversi senza correre il rischio di perdersi. Come ci è stato spiegato da Christine, ci sono una serie di informazioni in moltissimi punti di intersezione, ma ci vogliono comunque settimane per apprendere le “vie” più elementari. Se la situazione sottocoperta è di assoluta frenesia, ma relativamente esente da pericoli, si corre al massimo il rischio di picchiare la testa o di inciampare nei boccaporti delle paratie stagne, sul ponte di volo invece la situazione è ugualmente frenetica, ma d’incredibile pericolo, a ragion veduta viene classificato come uno dei posti di “lavoro” in marina più pericoloso in assoluto; le ore trascorse sul flight deck (ponte di volo) ce lo hanno dimostrato senza alcun dubbio. Stare a pochissimi metri da velivoli in atterraggio e/o decollo o più semplicemente in movimento, vedere cavi di arresto di acciaio che si tendono e ritornano come elastici, catapulte che “sparano” velivoli di sedici tonnellate creando addirittura un leggero sussulto della nave, inalazioni di qualche metro cubo di JP-8 (carburante usato dai jet), anche se per poche ore, devo ammettere che è un esperienza che non ha equivalenti in nessun ambito aeronautico che abbiamo avuto modo di frequentare sino ad ora. Pur abituati a stare in un normale contesto aeroportuale, a poche decine di metri da velivoli che danno massima potenza ai motori per decollare, su una portaerei non è la stessa cosa per il connubio di molti fattori unici come: il ponte di volo in metallo, gli spazi ristrettissimi, le catapulte, le barriere di arresto, numerosissimo personale in continuo movimento che nell’insieme creano un ambiente unico e molto particolare. Per terminare tra le impressioni maggiormente degne di nota c’è sicuramente quella di poter stare a pochi “centimetri” dai ganci di arresto durante gli appontaggi; immaginate di vedervi passare a pochi metri un F 18 che con il suo gancio di arresto ingaggia il cavo e in 100 metri si arresta completamente, inoltre per chi non lo sapesse volevamo spiegare che l’aggancio dei cavi avviene con i motori al massimo, questo serve al pilota per avere la necessaria potenza per riprendere il volo qualora non dovesse agganciare le barriere. Nel corso del nostro imbarco questa situazione è capitata per ben tre volte, due volte per gli F 18 e una volta per un Prowler, tra l’altro una molto coreografica in notturna con relativo scintillio causato dallo sfregamento del gancio sul ponte di volo. Purtroppo in questo caso l’ eccessiva vicinanza trasmette sì delle forti emozioni, ma non aiuta certamente a fare delle riprese fotografiche ottimali, in quanto la velocità del velivolo in appontaggio è di circa 250 km/h, si è troppo vicini al soggetto anche utilizzando dei grandangolari, ed inoltre non si ha quasi mai il campo completamente libero a causa del personale e delle attrezzature presenti nelle vicinanze. Per quanto riguarda le operazioni notturne siamo stati un po’ sfortunati, in quanto l’attività si è risolta con una serie di appontaggi e nessun lancio, quindi con tutte le luci della nave spente per non disturbare la visione del pilota, e l’assoluta impossibilità di utilizzare il flash, quindi ci siamo semplicemente goduti lo spettacolo senza l’assillo di dover fare fotografie. A questo punto arriviamo al sospirato lancio con la catapulta, momento che coincide con il termine di questa prima, e spero non ultima incredibile avventura a bordo della Carl Vinson. A differenza del viaggio di andata, una volta a bordo scopriamo di essere gli unici passeggeri, pensiamo subito che almeno il viaggio di ritorno sarà un po’ più rilassante. I minuti che precedono il lancio sono interminabili e il grosso problema è quello di non avere assolutamente il controllo della situazione esterna perchè non abbiamo potuto sederci vicino agli unici due finestrini presenti sul C 2, peccato! Inoltre non si riesce nemmeno bene a capire quando il velivolo è in movimento, mentre il segnale inequivocabile che si sta per essere lanciati è la forte vibrazione che i due motori del Greyhound trasmettono mentre sono a piena potenza nei secondi che precedono il decollo, e nemmeno tanto l’immancabile urlo di avviso dei due Crew Chief peraltro fatto in questa occasione con meno convinzione. Il velivolo viene lanciato ad una velocità di 205 km/h e in tre secondi si stacca dal ponte di volo, la mia personale impressione è stata quella di vedere la carlinga volar via e io rimanere fermo in una posizione statica; a differenza dell’appontaggio ora l’accelerazione tende a farti staccare dal seggiolino, quindi sei tenuto solo dalle cinture, mi sono appoggiato con le braccia tese sul seggiolino davanti, mentre ci accorgiamo che siamo in aria solo per il brusco rallentamento del velivolo una volta esaurita la spinta della catapulta, ma con la netta sensazione di essersi fermati. |
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Lo scopo esclusivo della nostra presenza a bordo della Carl Vinson è stato quello di svolgere un attività fotogiornalistica volta a produrre, tramite immagini e informazioni, un articolo dedicato alle operazioni militari svolte da una portaerei e dalla relativa componente aerea presente a bordo in una situazione operativa assolutamente reale. Per svolgere questo inusuale lavoro abbiamo approfittato della presenza nel Golfo Arabico della “The Gold Eagle” impegnata a supporto dell’Operazione Enduring Freedom (Rafforzare la Libertà). Ricordo che l’operazione Enduring Freedom è un operazione militare che si svolge in Afghanistan dall’ottobre del 2001 fortemente voluta dagli Stati Uniti d’America in risposta all’attentato terroristico dell’11 settembre al WTC (World Trade Center), New York ed al Pentagono a Washington. Lo scopo principale della missione è quella di perseguire e catturare (o meglio eliminare) i mandanti di quel catastrofico evento. Poco più tardi, ma sempre nel 2001, con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite viene istituito anche un intervento militare della NATO denominato ISAF (International Security Assistance Force) sotto egida dell’ONU, con la finalità di favorire l’istituzione di un Governo democratico che debelli l’estremismo islamico presente nel paese. Questa missione è stata supportata ad oggi da circa 40 nazioni diverse che hanno messo a disposizione le loro componenti militari; dal 2006 l’operazione Enduring Freedom viene posta sotto il comando ISAF. La componente navale americana con le sue portaerei è uno strumento assolutamente indispensabile in un contesto come quello appena descritto, proprio grazie alla flessibilità di utilizzo e all’elevata capacità bellica a disposizione. La Carl Vinson ha partecipato all’Enduring Freedom per la seconda volta dall’agosto 2010 a marzo 2011, subentrando alla CVN-75 Truman e avvicendata a sua volta dalla “veterana” CVN-65 Enterprise. Giusto per far capire quanto siano importanti questi mezzi navali mi sembra doveroso dare dei cenni su un operazione non militare svolta dalla Vinson poco prima di essere schierata nel Golfo Arabico. La missione denominata Operation Unified Response si è svolta nella seconda metà del mese di gennaio 2010 quando, la portaerei è stata utilizzata come piattaforma in una circostanza drammaticamente umanitaria, intervenendo a favore delle popolazioni di Haiti colpite dal tremendo terremoto del 13 gennaio. La “carrier” è stata utilizzata per portare aiuti alla popolazione schierando a bordo un assetto composto esclusivamente da elicotteri della Marina Americana (SH 60 Sea Hawk e MH 53 Sea Stallion). Questi elicotteri nel primo periodo di emergenza hanno effettuato circa 2.200 sortite, di cui 435 come MEDEVAC (MEDical EVACuation), trasportando 162 tonnellate di alimenti e 87.000 galloni di acqua come aiuti di prima necessità agli sfortunati abitanti dell’isola caraibica; inoltre tramite le strutture mediche a bordo della “nave” sono state ospitate una ventina di persone bisognose di cure mediche urgenti. Ma torniamo alla missione di supporto all’Enduring Freedom, la portaerei tramite il Carrier Air Wing 17 ha garantito il supporto aereo (CAS Close Air Support) alle truppe impegnate in territorio afgano, la difesa aerea alle unità navali dislocate nell’area, il controllo del traffico marittimo, la guerra elettronica, ed è stata utilizzata come posto di comando e controllo delle operazioni (ABCC Airborne Battle Space Command and Control). Le missioni classiche, svolte più volte al giorno, prevedevano l’invio di “pacchetti” di aerei misti composti da: un E 2C Hawkeye del VAW-125 come “picchetto” radar per svolgere la missione AWACS (Airborne Warning and Control System) a favore della flotta stessa nonché degli altri aerei impegnati, un EA 6B Prowler da guerra elettronica in grado di disturbare e/o distruggere le difese nemiche, ed infine una serie variabile di cacciabombardieri, composta da: F/A 18C Hornet del VFA-113, e del VFA-25, da FA 18E/F Super Hornet del VFA-22 e del VFA-81. Il ruolo svolto da entrambe le versioni dell’F 18 erano prevalentemente di cacciabombardiere in appoggio alle forze di terra della coalizione, l’armamento a bordo degli Hornet e Super Hornet era costituito per la maggioranza dei casi da un mix di armamento convenzionale e di armamento intelligente. Nonostante i circa 30 minuti di volo che separano la zona di navigazione della “carrier” dall’Afghanistan, spesso abbiamo notato a bordo degli F/A 18F il tipico POD per il rifornimento in volo di tipo “buddy buddy”, tale rifornimento è necessario per prolungare la permanenza in volo dei cacciabombardieri sul “teatro” operativo, missioni che all’incirca non superavano di molto le due ore. Mentre meno appariscenti ma sicuramente indispensabili, gli elicotteri SH 60F e HH 60H Sea Hawk dell’HS-15, primi a decollare e ultimi ad atterrare, sempre presenti in volo durante i decolli e gli appontaggi degli altri velivoli, garantendo così il supporto SAR (Search and Rescue) in mare, mentre una componente dell’HS-15, dotata di HH 60H (Rescue Hawk) è invece deputata al supporto CSAR (Combat Search and Rescue) che si svolge in territorio ostile, al NSWS (Naval Special Warfare Support) ed infine svolgono missioni di supporto alle SOF (Special Operation Force) operazioni speciali balzate agli onori della recentissima cronaca. Inoltre i Sea Hawk nella versione SH 60F garantiscono una protezione “anti submarine” alla flotta, anche se in questo contesto il pericolo è praticamente inesistente. |
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Ora veniamo invece ad alcuni cenni tecnici sulla portaerei Carl Vinson. La nave porta il nome di un membro del Congresso degli Stati Uniti, nonché grande sostenitore nei primi anni cinquanta per la costruzione delle prime portaerei a propulsione nucleare. La CVN-70 Carl Vinson è una delle dieci portaerei della classe Nimitz, la terza in ordine di costruzione, venne commissionata nell’aprile del 1974, l’inizio della costruzione avvenne nell’ottobre del 1975 presso i cantieri navali di Newport News in Virginia tramite la società Northrop Grumman Corporation. Il varo ufficiale fu effettuato nel marzo del 1980, mentre l’ingresso in servizio, alla presenza di Carl Vinson stesso, fu compiuto nel marzo del 1982. La portaerei è soprannominata “The Gold Eagle" (Aquila d’oro) e fa’ suo il motto “Vis per mare” La Forza dal Mare. La sua base di appoggio attuale è presso la Naval Air Station North Island di San Diego in California sulla costa ovest del Pacifico. Di seguito vediamo ora alcuni dati di questo gigante dei mari: -lunghezza: 333 metri -lunghezza linea di galleggiamento: 320 metri -larghezza: 76,8 metri -larghezza linea di galleggiamento: 40,8 metri -altezza totale: 74 metri -superficie ponte di volo: 18.000 mq -pescaggio: 11,60 metri -peso totale: 95.000 tonnellate -propulsione: due reattori nucleari -autonomia: 20 anni senza rifornimento di combustibile nucleare -velocità massima: 30 knots (56 km/h) -equipaggio: 3.200 marinai per la nave, 2.480 aviatori per il CVW -velivoli imbarcati: più di 60 aerei ed elicotteri Inoltre la nave dispone di una serie di sensori di bordo che comprendono: -radar di ricerca aerea SPS-48E 3-D e SPS-49(V) 5 2-D -radar di acquisizione bersagli Mk 43 -radar di controllo del traffico aereo SPN-43B -radar di guida all’appontaggio SPN-44 -sistemi di guida NSSM Mk 91 -radar Mk 95 sistemi difensivi -batterie di missili aria-aria -cannoni anti-missile Le missioni della portaerei si traducono in alcuni concetti basilari: prontezza di intervento e flessibilità, garantire in teatro operativo la supremazia tramite il potere aereo, consentire un giusto equilibrio tra deterrente e potenza, tutti elementi indispensabili per le operazioni militari del 21° Secolo. Le portaerei continuano ad essere un bene primario per la nazione, in particolare nel momento in cui l’intervento militare è insostituibile, permettendo così alla Marina americana di svolgere le missioni strategiche assegnate, in particolare come: deterrente contro aggressioni alla sicurezza nazionale e degli interessi nazionali fuori dagli Stati Uniti, anche in cooperazione con i paesi alleati e amici; operazioni di controllo delle acque territoriali e non in particolare con il contrasto alla pirateria, al terrorismo, al traffico di droga e a tutti gli illeciti in generale; risposta alle crisi internazionali con un intervento tempestivo superando le barriere politiche e geografiche per accedere alle aree critiche senza violare la sovranità di una nazione; infine le sempre più frequenti azioni a supporto delle popolazioni civili in occasione di catastrofi umanitarie. La CVN-70 nei suoi oltre 30 anni di attività ha partecipato a molte missioni operative come, la Earnest Will (1987-1988) a protezione del Kuwait, oppure la Desert Fox e Southern Watch nel Golfo Persico (1994), nel 2001 durante la fase iniziale dell’Enduring Freedom, nel 2003 nel Golfo Persico alla Seconda Guerra del Golfo, nel 2005 all’operazione Desert Strike sempre in medio oriente. Molte anche le attività addestrative, ne elenchiamo alcune tra le più significative: la RIMPAC (Rim of the Pacific Exercise) del 1984, nel 1986 è stata la prima portaerei a navigare nel mare di Bering, nel 1989 ha partecipato alla più grande esercitazione mai svoltasi dopo la Seconda Guerra Mondiale (PacEx Pacific Exercise), nel 1995 ha partecipato all’esercitazione Ke Koa, ed infine come la succitata operazione umanitaria l’Operation Unified Response ad Haiti. |
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Sequenza fotografica di un appontaggio / Photografich sequence of a landing
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Sequenza fotografica di un lancio / Photografich sequence of a launch
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Gli autori desiderano ringraziare il LT Frederick Martin, il LT John Fage, il LCDR Erik Reynolds, il LT Erik Schneider ed il LT Christine Gargan
Foto e Testo di Giorgio Ciarini e Dario Cocco
Video di Dario Cocco
Marzo 2011
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English translation by Dario Cocco
I would like to make a short introduction, my articles do not usually start with an introduction devoted to personal stories, but for this particular occasion I will make an exception. After hearing the experiences of boarding the USS Nimitz CVN-75 (November 2009) by my friends Alberto and Giovanni, an uncontrollable desire to try a very special experience sprang up in me. I must admit that, as happened other times, the organization has not been the simplest of problems as widely expected, considering the organizational context of a mission like this, a carrier engaged in a real operational environment, and with a base of operations in a country not exactly around the corner (Bahrain). My first problem was to find a "companion" of travel that would support my needs once on board the "Carrier", and above all someone ready to face the need to take "redundant" photos in the unlikely event you run into troubles with the digital technology, such as a TV advertising said in a statement "two is better than one", companion found in the person of my dear friend Dario who has accepted with enthusiasm. Now I will not dwell too much in telling the whole process of organization because it makes no sense. But I would like to say that in the long months of waiting we had a very good cooperation by the two PAO (Public Affairs Officer) of the 5th Fleet based in Manama (Bahrain), which is the U.S. Navy unit responsible for managing embarking of guests on ships operating in the Arabian Sea. LT John Fage at first, and LT Frederick Martin for the final part, Frederick was also our host when we get there; the reason why we had two different contacts is because all the procedure lasted for more than eight months, during this time a normal turnover of staff based at the headquarters in Manama happened. After some deferments finally we got the final confirmation about the dates of our embarking, although it must be stated that, due to operational reasons, this might have been cancelled only a few hours before departure. At this point we started our search for the flight and the hotel in Bahrain. We opted for Turkish Airlines for our flight to Manama then passing through Istanbul, splitting this way almost evenly our flight hours, 2 hours and 30 minutes from Malpensa to Istanbul, 3 hours and 30 from Istanbul to Manama. This choice, we have to say, has been very good for the great service provided by the Airline. The days prior to departure have been of great concern due to the events that were happening in the Middle Eastern country, but having no specific warnings, we decided to go anyway. This choice revealed the right one, because at the time of our arrival there were no signs of turmoils. So we managed to concede us a few hours as tourists visiting heart of the capital without troubles. Instead the situation completely reversed at our return to Bahrain after the boarding. Just 30 hours before we left a quiet town, at our return we found a really "hot" situation with checkpoints at every junction and a star high tension. As we then checked on the news, in the days to follow the situation evolved in violent clashes that led to the imposition of the curfew. In the short drive around the airport perimeter from the military base to the Civil Terminal we have witnessed scenes which until then we had only seen on television. After this introduction dedicated to our travel arrangements and to the news it seems right to tell about our transfer to the carrier and specifically the more interesting part of this journey, the arrested landing and the subsequent launch by the catapult. The outbound flight on the C 2A Greyhound VRC-40, fully loaded with both personnel and goods, lasted just under three hours, and we must say that it was not the best of life, mostly for the fitting which is certainly not first class, but neither of economy. Unfortunately it was not possible to document this trip with pictures because it is strictly forbidden to carry on board anything including photographic equipment, for practical reasons and personal safety. Adrenaline started to rise when the two Crew Chiefs loudly indicate that the fateful moment is approaching. I must admit candidly that I don’t remember that much about the landing because the sudden turn performed by the COD (Carrier Onboard Delivery) to position downwind almost knocked me out. The same manoeuvre seen the next day from the deck made me understood why.... However, it must be explained that during an arrested landing the braking effect is somewhat alleviated by the fact that your back is firmly kept against the backrest of the seat, note that the COD seats are bolted contrary to the direction of travel. The landing of the C 2 occurs at a speed of 170 mph, the run ends out in less than 100 meters in a time of two seconds, so we left you imagine what you feel! Once off the Greyhound in the few meters you walk to the island of the ship you find yourself in the middle of flight operations and welcome on board is guaranteed by immediate immersion in the sounds and smells of the typical flight deck seasoned with a healthy dose of "jet blast". My eyes which intersects with Dario’s for an instant say it all, either we have not yet materialized that we are finally on board! After the ritual presentations with our interlocutors, the PAO of the Carrier LCDR Reynolds and his aide LT Christine Gargan, we were immediately immersed in our media role, because as I will understand when you have ended your boarding, on a carrier the activity is so hectic that drags you away without having the time to realize it, and the 24 hours spent on board literally "fly away". Fortunately for us some valuable information "turned" by our friend John about the best places for taking pictures were found essential, allowing us to have an general overview of the ship and particularly to best way to catch the operational activities of the aircraft. During our embarking there have been many things that stood out in a more or less impressive way: of the part below deck definitely the endless corridors with watertight bulkheads spread throughout the length and width of the ship, alternating ups and downs to the various levels of the hull, with an endless procession of the staff at every hour of night and day, in short, a huge "ant-hill", where without proper education is almost impossible to move without the risk of being lost. As it was explained by Christine, there are a variety of information in many points and at every intersection, but it takes weeks to learn even the the most basic "routes". If the situation under the deck is absolutely frantic, but relatively danger-free, at the most you run the risk of hitting your head or tripping in watertight bulkheads and hatches, on the flight deck, the situation is equally busy, but incredibly dangerous; it is classified as one of the Navy’s most dangerous workplaces as the hours spent on the flight deck have shown to us beyond any doubt. Standing a few meters from an aircraft landing or taking-off or simply moving on the deck, seeing those steel cables stop the aircraft and then stretch back as elastics, steam coming out from catapults that "shoot" sixteen tons aircraft like a toy, even producing a slight jerk of the ship, inhalating a few cubic meter of JP-8 (fuel used by combat jets), even only for a few hours, we must admit that it is an experience that is unparalleled in any aeronautical context that we were able to attend so far. Although used to live in a normal airport environment, standing a few meters from the aircraft that gives maximum power for takeoff on an aircraft carrier is not the same thing for the unique combination of many factors such as the metallic flight deck, the relatively limited space, the catapults, the stop barriers, numerous staff moving around which all together create a unique and very special place. One of the most remarkable impressions certainly was the chance to stand a few "inches " from the arresting hooks during the landing, imagine yourself watching a few meters away an 18 F when its tail hook engages the wire and completely stops in 100 meters. For those unfamiliar with this kind of operations we want to explain that the hooking of the cables is performed with the engines at maximum power, this helps the pilot to have the necessary power to resume the flight if he misses the cables. During our boarding this situation has happened to three times, twice for the F 18 and once for a Prowler, and also once in darkness with very choreographic sparks caused by the friction of the hook on the flight deck. Unfortunately, in such case being so close to this action causes very strong emotions, but certainly it is of no help for obtaining the best photographs, since the speed of the airplane landing is about 250 km/h and you’re so close to the subject that you have to use wide-angle lenses, and seldom you have a completely free vision because the area is filled with personnel and equipment. As for night operations luck was not completely on our side because the activity was limited to a series of landings and no launches, the ship had all the lights off to avoid disturbing the vision of the pilots, and there was no possibility to use flashes, so we had just to enjoy the show without the hassle of taking pictures. As our visit drew to a close the longed (and feared) catapult launch became a reality. The moment coincides with the end of this our first, and hopefully not last, incredible adventure aboard the Carl Vinson. Unlike the outward journey, once on board the COD we realized to be the only passengers. We think that at least the return trip will be a bit more relaxed. The minutes before the launch seem endless and the big problem is that you cannot have absolutely no control of what’s happening outside the airplane because we were not allowed to sit close to the only two windows available on the C 2, too bad! Also you cannot even really feel when the aircraft is in motion, while the clear signal that you are about to be launched is the strong vibration produced by the two large eight bladed props of the Greyhound pushed at full power in the seconds before takeoff and the inevitable cry of warning from the two Crew Chiefs, made this time with less conviction. The aircraft is launched from zero to a speed of 205 km/h and in three seconds is off from the flight deck; my personal feeling was to see the fuselage fly away while I was standing still in a static position. Quite differently from the landing this time the sudden acceleration tends to make you disconnect from the seat, so you're only restrained by the belts; we grabbed with outstretched arms to the seat back in front of me, and we realized that we are flying only for the sharp deceleration of the aircraft, once the thrust of the catapult ended, but with the feeling that we were going to stop in mid air. The exclusive purpose of our presence on the Carl Vinson was to carry out a photojournalistic job to produce, with images and information, an article devoted to the military operations carried out by an aircraft carrier and its air component on board in an operational situation absolutely real. To carry out this unusual work we took advantage of the presence in the Arabian Gulf of "The Gold Eagle" engaged in support of Operation Enduring Freedom. I remember that Operation Enduring Freedom is a military operation that is taking place in Afghanistan since October 2001, strongly supported by the United States of America in response to the September 11th terrorist attack to the WTC (World Trade Center) in New York City and to the Pentagon in Washington DC. The main purpose of the mission is to pursue and capture (or eliminate) the principals of that catastrophic event. A little later, but always in 2001, with a resolution of the Security Council of the United Nations is also called a military intervention by NATO (ISAF - International Security Assistance Force) under UN auspices with the aim of promoting the establishment of a democratic government to eradicate Islamic extremism in the country. This mission is supported today by some 40 nations that have offered their military components; since 2006, Operation Enduring Freedom has been placed under the command of ISAF. The US naval component with its aircraft carrier is absolutely essential in a context like the one just described, thanks to its flexibility and high combat capacity available. The Carl Vinson participated to the Enduring Freedom for the second time from August 2010 to March 2011, replacing the CVN-75 Truman and was substituted at the end of this period by the "veteran" CVN-65 Enterprise. Just to make people understand how important these vessels are, seems to me imperative to give some hints about a military operation conducted by the Vinson shortly before being deployed to the Arabian Gulf. The mission, called Operation Unified Response, took place in the second half of January 2010 when the aircraft carrier was used as a platform within a dramatic humanitarian situation, to help the people of Haiti affected by the terrible earthquake of January 13. The "carrier" has been used to bring relief to the people carrying on board a structure composed entirely of U.S. Navy helicopters (SH 60 Sea Hawk 53 Sea Stallion and MH). These helicopters, in the first period of emergency, made about 2,200 sorties, including 435 as a MEDEVAC (Medical Evacuation), carrying 162 tons of food and 87,000 gallons of water as an essential aid to the unfortunate inhabitants of the Caribbean island, also through the Medical facilities about twenty people in need of urgent medical attention were treated aboard the ship. Let’s get back to the support mission to Enduring Freedom. The Carrier Air Wing 17 has provided: air support (CAS Close Air Support) to the troops deployed in Afghan territory; air defense to naval units stationed in the area; maritime traffic control; electronic warfare, and finally was used as a command post and operational control (ABCC - Airborne Battle Space Command and Control). The classic missions, carried out several times a day, consisted of the sending of packets of mixed aircraft comprising: an E 2C Hawkeye of VAW-125 as a "spike" radar to carry out the mission of AWACS (Airborne Warning and Control System) to the benefit of the fleet and the other aircraft involved; an EA 6B Prowler for electronic warfare which can disrupt and/or destroy enemy defenses; a variable number of fighter-bombers, made up of: F / A 18C Hornet VFA-113, and VFA-25, by FA 18E / F Super Hornet VFA-22 and VFA-81. The role played by both versions of the F 18 fighters were mainly in support of the coalition’s ground forces, the weapons on board the Hornet and Super Hornet consisting for the majority of cases of a mix of conventional arms and intelligent weapons. Despite the 30-minute flight time that separates the navigation area of the "carrier" from Afghanistan, we have often seen aboard the F / A 18F the typical in-flight refueling pod of "buddy buddy" type. It was needed to prolong the stay in flight of the fighter-bombers on the "operational theater" missions that nearly did not exceed two hours. While less visible, but certainly necessary, helicopters SH 60F and 60H Sea Hawk HH-15 HS, the first to last to take off and land, were always kept in flight during take-off and landing of other aircraft, thus ensuring support (SAR Search and Rescue) at sea, while a component of the HS-15, with HH 60H (Rescue Hawk) is instead a Member of the support CSAR (Combat Search and Rescue) that takes place in hostile territory, to NSWS (Naval Special Warfare Support ) and finally performing missions of support to the SOF (Special Operation Force). Special Operations jumped to hit the news recently. Furthermore, the SH 60F Sea Hawk version provide protection "anti submarine" to the fleet, although in this context, the danger is practically non-existent. Let’s now go to examine some technical notes about the aircraft carrier Carl Vinson. The ship is named after a member of the U.S. Congress who was a strong supporter in the early fifties to build the first nuclear-powered aircraft carrier. The Carl Vinson CVN-70 is one of the ten Nimitz-class aircraft carriers, the third in order of construction. It was commissioned in April 1974, the start of construction took place in October 1975 at the shipyards of Newport News, Virginia through the company Northrop Grumman Corporation. The official launch was conducted in March of 1980, while the entry into service, with the presence of Carl Vinson in person, was completed by March 1982. The aircraft carrier is nicknamed "The Gold Eagle" (Golden Eagle) and makes' his motto "Vis per mare" (Strength from the Sea). Its current base is at the Naval Air Station North Island in San Diego, California on the west coast on the Pacific Ocean. Here we now see some technical data of this giant of the seas: -length: 333 meters -waterline-length: 320 meters -Width: 76.8 meters -waterline-width: 40.8 meters -Overall height: 74 meters -flight-deck area: 18,000 sqm -Draft: 11.60 meters -Total weight: 95,000 tons -Propulsion: 2 nuclear reactors -endurance: 20 years without refueling nuclear fuel -Max speed: 30 knots (56 km / h) -crew: 3,200 sailors for the ship, the 2,480 airmen for the CVW -more than 60 aircraft and helicopters In addition, the ship has a number of onboard sensors including: air-search radar SPS-48E 3-D and SPS-49 (V) 5 2-D -Mk 43 target acquisition radar -traffic control radars SPN-43B -landing aid radar SPN-44 -Mk 91 NSSM guidance systems -Mk-95 radar defense system -air-to-air missile batteries -anti-gun-missiles The missions of the aircraft carrier can be resumed in some basic concepts: readiness for action and flexibility; to ensure the supremacy in the theater of operations through air power; to allow a balance between deterrence and power, all prerequisites for military operations in the 21st century. The aircraft carrier continues to be a primary resource for the nation, particularly when military intervention is indispensable, allowing the Navy to carry out strategic missions assigned, such as: a deterrent against aggression and to guarantee national security interests outside the United States, in cooperation with its allies and friends; control operations of the territorial waters and in particular the fight against piracy, terrorism, drug trafficking and all the infringements in general; responding to international crises with an early intervention to overcome the political and geographical barriers to access to critical areas without violating the sovereignty of a nation and finally the increasing activities in support of civilian populations during humanitarian disasters. The CVN-70 during its more than 30 years of service has participated to many operational missions such as the Earnest Will (1987-1988) to protect Kuwait, the Desert Fox and Southern Watch in the Persian Gulf (1994), in 2001 to the early stages of the Enduring Freedon, in 2003 in the Persian Gulf to the 2nd Gulf War, Operation Desert Strike in 2005, always in the Middle East. It has often been engaged to many training activities, we list some of the most significant: the RIMPAC (Rim of the Pacific Exercise) in 1984; in 1986 was the first aircraft carrier to sail across the Bering Sea; in 1989 it participated to the largest exercise ever held after the Second World War (PacEx Pacific Exercise); in 1995 it took part to the exercise Ke Koa, and finally to the aforementioned humanitarian operation Unified Response in Haiti.
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Special thanks to the: LT Frederick Martin, LT John Fage, LCDR Erik Reynolds, LT Erik Schneider and LT Christine Gargan
Images and Text by Giorgio Ciarini & Dario Cocco
March 2011
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